La mia visita a Roma per la canonizzazione di César de Bus
Fu sotto un sole radioso che sbarcai a Roma dal mio nativo Burundi. Mi sentivo libera, perché Roma aveva rimosso tutte le barriere Covid. Ero felice, felice di far parte della generazione che il Signore aveva scelto per assistere alla canonizzazione di César de Bus, dopo tutti questi secoli di attesa.
Mi aspettava un’esperienza senza precedenti: vita comunitaria tra religiosi e laici, di età diverse, nazionalità diverse, culture diverse. È stato bello vederli seduti tutti attorno allo stesso tavolo; dal Superiore Generale ai laici dell’Africa, dell’Europa e dell’America; insieme, condividendo lo stesso pasto. Viva la comunione, vero volto della Santità. Dio è comunione.
Finalmente è arrivato il giorno tanto atteso. Ero stata scelta per far parte dell’équipe preposta al servizio dell’offertorio, ma non sapevo cosa avrei portato all’altare. Di solito sono i religiosi o i chierichetti che se ne prendono cura. E io non appartengo a nessuna di queste categorie. Quando il prelato responsabile della liturgia mi ha dato una pisside con le ostie da consacrare, ho pensato: è semplicemente incredibile!
Il luogo dove si sarebbe seduto il Santo Padre era sobriamente decorato… fatta eccezione per una grande e bella statua della Vergine Maria che porta in braccio il Bambino Gesù. La statua era adorna di fiori.
Prima dell’inizio della celebrazione, il Papa mi è passato davanti in una piccola auto. Ho notato che aveva difficoltà a camminare. Ho guardato questo Papa fragile, incapace di camminare da solo, e mi sono detta: non è poi così diverso da noi. Ho pensato alle mie ginocchia doloranti e mi sono sentita vicina a lui, e allo stesso tempo lontana. Ho ripensato alle barriere che avevo attraversato per arrivare dove ero seduta… mi sono guardata, ho pensato al mio piccolo Burundi, senza sbocco sul mare, da qualche parte nell’Africa orientale… ho guardato il Papa e le persone intorno a lui, e ho pianto, colma di emozioni.
Per la prima volta affrontavo una situazione del genere, seduta per più di un’ora sotto il sole cocente. Dapprima mi dicevo; è semplicemente impossibile stare sotto un sole così , ho preso il foulard celebrativo di César de Bus e mi sono coperta la testa. Nella mia lingua madre c’è un proverbio che dice: “Puoi lasciare il cespuglio, ma il cespuglio non ti lascerà”.
Lo Spirito Santo mi ha ispirato: «Guardati intorno». Ho osservato la solennità e la dignità del luogo, tutti erano seduti tranquilli, senza foulard, senza berretti, né ombrelli per proteggersi dal sole… bisognava accettare la sofferenza. Mi sono subito tolta la sciarpa dalla testa e ho detto; sia. Ho benedetto il Signore e ho ringraziato san César de Bus.
A tutti coloro che mi chiedono come sono arrivata in questo luogo, invariabilmente rispondo, è una grazia.
Viva San César de Bus, viva la Congregazione dei Padri della Dottrina Cristiana!
Fraternamente, Veronique (Bujumbura, Burundi)