La missione del catechista secondo San Cesare
Il catechista: vocazione e missione
Nel 2013 le Edizioni Dottrinari pubblicarono l’opuscolo Il catechista: vocazione e missione. L’esperienza del beato Cesare de Bus” di padre Sergio La Pegna, oggi Superiore Generale. Questo estratto vuole offrire ai catechisti alcuni pilastri su cui si fonda la loro vocazione e missione nella Chiesa. Il tutto non a partire da teorie vaghe, ma dall’esperienza e dall’apostolato di san Cesare de Bus che ha fatto della catechesi lo scopo principale della vita.
Gli inizi: il catechista
«I genitori devono istruire i loro figli più con l’esempio che con le parole, perché l’esempio ha più efficacia delle parole. Come volete che i vostri figli preghino la mattina e la sera, se voi mai ne date l’esempio? Come volete che vivano cristianamente se, considerando la vostra vita essi non vedono neppure una sola azione fatta con spirito cristiano?» San Cesare de Bus
Dal 1586, per due anni circa, Cesare si ritira presso l’eremo di Saint Jacques, che domina Cavaillon. In questo luogo, anche se non in totale solitudine, si dedica alla preghiera, alla meditazione soprattutto del catechismo “ad parochos”, organizza processioni penitenziali, predica nelle campagne, insegna la dottrina cristiana ai pastori, alla gente semplice. In questi anni decide d’essere catechista!
I decreti del Concilio di Trento e l’esempio di san Carlo Borromeo sono le regole d’oro del suo apostolato. Desidera presentare la dottrina di Cristo, vigorosamente richiamata dal Concilio di Trento, con un linguaggio comprensibile a tutti. Infatti egli capisce l’urgenza di presentare alla gente una predicazione accessibile ed efficace e si adopera con tutte le sue forze in questo servizio apostolico. Dona tutta la sua vita alla catechesi, specialmente rivolta ai più piccoli, poveri e bisognosi…e tutto questo con grande passione! Faceva una catechesi chiara, ripetitiva, progressiva, motivata, volta alla vita e intrisa della Parola di Dio.
Utilizza cartelloni catechistici da lui dipinti, esposti alla porta della chiesa, quale sussidio per facilitare la comprensione delle verità che spiegava; la musica e la poesia per rendere interessante e piacevole l’insegnamento; dona premi in libri, rosari, croci e immagini sacre per destare e mantenere l’impegno.
Il fondamento della spiritualità del catechista: la comunione con Cristo
«Fissate gli occhi sopra il Crocifisso e conoscerete quanto Dio vi ha amato. Grande è l’amore dell’amico verso il suo amico, della sposa verso il suo sposo, della madre verso il suo figlio; ma l’amore del nostro Dio supera di gran lunga tutti gli amori». San Cesare de Bus
Al centro della catechesi noi troviamo essenzialmente una persona: Gesù di Nazaret. Lo scopo della catechesi, pertanto, è quello di mettere in comunione con Gesù Cristo: egli solo può condurre all’amore del Padre nello Spirito e può farci partecipare alla vita della Trinità (cf. CCC 426). San Cesare intuisce che ogni cristiano, e in particolare il catechista, deve essere prima di tutto un amico del Signore Gesù e deve averlo incontrato nella sua vita.
Un momento particolare della vita del santo richiama la dimensione spirituale della vita del catechista. Per due anni circa, egli vive nell’Eremo di Saint Jacques, su Cavaillon. Qui, di sua mano, apre una finestrella attraverso la quale, dalla sua stanza, può contemplare, anche quando è in camera, il Santissimo Sacramento presente nel Tabernacolo. La meditazione continua della Sacra Scrittura, la lettura dei testi dei Padri della Chiesa e di altri santi, un amore filiale per la Chiesa, in particolare quella locale, e la devozione popolare furono l’alimento ordinario del suo spirito. Nella stessa camera da letto vi era anche una piccola finestra che dava su Cavaillon, ciò gli consentiva di portare nella preghiera le gioie e le sofferenze del popolo. In tal modo padre Cesare raggiunge un grande equilibrio fra azione e contemplazione. Traeva efficacia di parola e serenità di spirito dalla sua unione, pressoché continua, con Dio.
Nel discorso di fondazione della Congregazione, così afferma: «Annunciamo questa Parola, insegniamo questa Dottrina, consacriamoci a questo esercizio e noi saremo Angeli di Luce! È vero che noi non lo saremmo che a metà se diffondessimo la luce con le nostre parole e, nello stesso tempo, le tenebre con gli atti. Tutto in noi deve catechizzare; il nostro stile di vita sia così conforme alle verità insegnate da essere un catechismo vivente…» . Il catechista, prima di dire, di insegnare, di parlare… deve vivere quello in cui crede: essere catechismo vivente, qui c’è la sintesi della spiritualità di san Cesare.
Le tre montagne da scalare
In un’omelia per l’Ascensione san Cesare invita gli uditori a divenire, giorno dopo giorno, discepoli di Gesù. Come? Salendo sulle tre montagne indicate dal Signore stesso: «La prima è la montagna del Tabor, dove il Signore fece gustare un po’ della sua beatitudine, affinché contemplandola, comprendiamo che tutti i patimenti del tempo presente non hanno alcuna proporzione con la gloria futura che ci è preparata (Rm 8,18). È l’amore per la preghiera. Il catechista, per san Cesare, deve nutrire un costante rapporto di intimità con il Signore. Egli stesso pratica con fede autentica le devozioni comuni del suo tempo e della sua regione e cioè: un grande amore per l’Eucaristia, la frequente meditazione dei misteri dolorosi di Gesù e di Maria, il Rosario, l’orazione mentale e la meditazione e condivisione della Parola di Dio. La sua preghiera non è solamente fatta di un rapporto intimo con il Signore, ma intessuta di tutta la realtà che lo circonda: tutto viene portato nella preghiera.
«La seconda montagna è quella su cui Gesù predicò alle folle, ed è la montagna della Parola di Dio che noi dobbiamo ascoltare, comprendere, meditare giorno e notte e metterla in pratica. E poiché attraverso la prima apprendiamo dove va Gesù Cristo e dove noi dobbiamo aspirare, per mezzo di questa seconda montagna impariamo la via che conduce, cioè la via delle beatitudini». Il catechista, per san Cesare, deve essere innamorato della Sacra Scrittura. La Parola di Dio interroga primariamente colui che la proclama, perché anch’egli ne tragga frutto per la propria crescita spirituale. Ecco un altro messaggio attualissimo del santo: amare, conoscere, meditare e vivere la Parola di Dio!
«Quindi bisogna salire sulla montagna della croce, elevata in alto. Questo è il cammino di coloro che desiderano divenire perfetti» . Il catechista deve sentire nella sua vita e trasmettere la Misericordia di Dio, che si manifesta nel mistero della morte e risurrezione di Gesù. Sin dalla sua fanciullezza, il santo ha sperimentato l’Amore di Dio, attraverso quello dei suoi famigliari. Nella sua conversione viene toccato da Dio, Amore che perdona. Egli sperimenta nella sua vita cosa vuol dire essere perdonato da Dio; ricominciare il cammino della vita abbandonandosi nelle mani di Dio, fidandosi ciecamente di Lui. Questa fiducia totale in Dio è basata sulla misericordia che Dio stesso ha mostrato nella missione salvifica di Cristo, morto in croce per riscattarci dal peccato. La scoperta della realtà salvifica della croce porterà padre Cesare ad avere una profonda devozione per la Passione di Gesú e al desiderio di condividere e partecipare agli altri questo grande amore di Dio per gli uomini. Quest’amore per il mistero pasquale porterà padre Cesare a costruire moltissime piccole croci sulle quali erano dipinti i misteri della Passione di Gesù. Egli, poi, le distribuiva perché la gente le portasse al collo; insieme regalava l’Esercizio della croce che consisteva nel sentire, in ogni istante della vita, la potenza salvifica del mistero pasquale. È la vita quotidiana, fatta di gioie e dolori.
In sintesi, ecco i tre punti salienti della spiritualità del catechista, secondo il san Cesare:
- imparare ad ascoltare, cioè amare, conoscere, meditare e vivere la Sacra Scrittura;
- contemplare la Misericordia di Dio, che si manifesta, in particolare, nel mistero della morte e risurrezione di Gesù; solo così si può vivere nella continua ricerca della verità e si può esporre con linguaggio accessibile la Dottrina Cristiana;
- accettare che la Parola di Dio mi converta, mi cambi totalmente, come vuole Lei, non come voglio io;
- nutrire la propria vita, con l’Adorazione Eucaristica e le preghiere che la Chiesa, nostra madre, ci dona;
- vivere nella Chiesa locale un impegno, secondo la vocazione ricevuta, mettendo a disposizione del Signore tutti i doni da Lui ricevuti.
I cinque pilastri del catechista
«Noi dobbiamo credere alle verità del Simbolo con una fede capace di trasportare le montagne, pregare le domande del Padre Nostro con una speranza che non sarà mai delusa, praticare i Comandamenti del Decalogo con un amore forte come la morte, duro come l’Inferno; infine noi dobbiamo ricevere e amministrare i Sacramenti con una purezza degna di quell’acqua che zampilla per la vita eterna e della quale essi sono fonte e canale». San Cesare
“Vi trasmetto quello che anch’io ho ricevuto” (1Cor. 15,1). Il catechista è chiamato ad aiutare gli altri nell’incontro e nella conoscenza del Signore Gesù. Per fare questo, egli stesso deve continuamente crescere in questa amicizia. San Cesare, a partire dalla sua esperienza, trova cinque pilastri su cui edificare il suo rapporto con il Signore: l’amore alla Sacra Scrittura, l’Adorazione Eucaristica, la devozione a Maria, l’invocazione degli Angeli e dei Santi e l’accompagnamento spirituale.
La Sacra Scrittura
Tutta la vita di padre Cesare ruota attorno all’ascolto. Fin da giovane Cesare amò la parola, quella degli uomini prima e quella di Dio poi. Gli piaceva scrivere delle rappresentazioni teatrali, che metteva in scena con gli amici. Lo ammoniva Antonietta Reveillade: “Dio vi parla e voi non l’ascoltate”. Ma ad un certo punto Cesare comincia ad ascoltare e da lì inizia un cambiamento fondamentale della sua vita. Egli si è nutrito della Sacra Scrittura, ne ha fatto l’oggetto della sua meditazione e contemplazione. In tutte le opere attribuite a lui troviamo moltissime citazioni bibliche. Per san Cesare, “ascoltare la Parola” vuol anche dire comprenderla, amarla, credere in ciò che Essa annuncia e metterla in pratica; in essa si trova la forza e il coraggio per vivere serenamente il pellegrinaggio terreno. La Parola di Dio interroga primariamente colui che la proclama, perché anch’egli ne tragga frutto per la propria crescita spirituale. L’orazione mentale è da lui considerata come un colloquio profondo con il Signore, vi dedicava almeno un’ora al giorno, soprattutto meditando sulla Passione di Gesù. Per questo si alzava anche di notte per pregare.
Su cosa intenda padre Cesare per “meditazione”, lo riferisce, durante il Processo di Canonizzazione, suor Caterina de la Croix: «Padre Cesare era sempre immerso nella contemplazione, meditava su tutte le creature, ammirando in esse l’opera di Dio e scoprendo Dio in tutte le cose, ad esempio osservando la foglia di un albero. Quando discorreva con me di cose spirituali manifestava un tale fervore di spirito, unito ad una competenza così profonda, che tutto il resto attorno a noi scompariva. Pertanto, un giorno gli chiesi chi gli avesse insegnato a meditare. Egli mi rispose: “Indovina tu ci può essere stato il mio maestro!”. Con ciò intendeva il Signore stesso» .
Afferma san Cesare: «Cosa vuol dire ascoltare la Parola di Dio? Basta forse solo ascoltarla? Sì, purché la si metta in pratica, perché non quelli che ascoltano la legge sono giusti dinanzi a Dio, ma quelli che la mettono in pratica saranno giustificati (Rom 2,13). Comprendeva bene questa verità Samuele, e perciò diceva al Signore: “parla, o Signore, che il tuo servo ti ascolta” (1Sam 3,9). Chi è da Dio, cioè chi è in grazia di Dio, chi ha Dio in sé, chi è pieno di Dio, ascolta la sua Parola, ama la sua Parola, la crede e la mette in pratica; tutto ciò è compreso nel verbo ascoltare (cf. Lc 11,28)» .
L’Adorazione Eucaristica
Padre Cesare mantiene una grandissima devozione al Santissimo Sacramento. Affermava che avrebbe preferito subire la perdita della cosa a lui più cara piuttosto che tralasciare la celebrazione anche una sola volta; al riguardo commentava: «Mi meraviglio e non riesco a capire come alcuni possano sentire noia nella celebrazione di questo mistero ricco di così grandi e inesprimibili consolazioni. La mia devozione nel celebrare la Messa aumentava di giorno in giorno, ero inondato da una dolcezza sempre nuova» . E ad un confratello che, prima di ricevere l’ordinazione sacerdotale, si reca da lui per ricevere la benedizione, dice: «Vorrei che tu gustassi la medesima gioia che io provai quando divenni sacerdote. Infatti, appena udii il Vescovo esclamare: “Ricevi lo Spirito Santo”, il mio cuore si commosse tanto che mi sentii inondato di una felicità inesprimibile. Allora scoppiai in lacrime. Piangevo così a dirotto che alcuni dei presenti mi deridevano. La verità è che non ebbi la capacità di trattenere il pianto per l’intensa gioia che provavo».
Ecco l’invito che viene ancora a noi oggi: gustiamo la Celebrazione Eucaristica, in cui Cristo si dona a noi oggi, in cui impariamo a vivere la logica dell’amore e del servizio.
La devozione a Maria
San Cesare nella sua autobiografia afferma che ricevette dal Signore questa devozione sin da quando era ragazzo, in particolare verso la Vergine Immacolata: «La prima grazia che Dio mi elargì, dopo il battesimo, è stata una singolare devozione alla Beata Immacolata Vergine Maria, devozione che ho accresciuto fin dalla giovinezza; infatti ogni giorno recitavo in onore della Vergine alcune preghiere… Ricordo che fuori della città di Cavaillon sorge una Cappella dedicata alla Madonna della Pietà. Era allora frequentata da molti bisognosi che vi offrivano candele e altri doni e baciavano la sacra immagine. Io, ancora vestito da nobile secondo la mia classe sociale, volli imitare i poveri e gli indigenti. Offrivo forti somme di denaro, attendevo umilmente di presentare il mio obolo, dopo che i poveri avessero terminato le loro devozioni. Continuai questa pratica per un certo tempo. Un giorno verso sera, mentre stavo pregando, mi apparve la Beata Vergina Maria nelle sembianze dell’immagine che avevo baciato. L’apparizione persistette a lungo con una consolazione così dolce da non riuscire a staccarmene ». Maria, negli scritti del santo, è vista come la Madre della misericordia, che intercede per noi pellegrini sulla terra e bisognosi continuamente del perdono di Dio e come la Madre che, ai piedi della Croce, ha sofferto più di qualsiasi martire partecipando alla passione del Figlio suo amato. In particolare, Maria viene da lui venerata con la recita del Rosario. In una confidenza fatta al padre Larme, che lo assistette nell’ultima sua malattia, e raccolta dal padre Marcel, suo biografo, il santo disse di aver recitato “almeno ventimila volte il Rosario nel corso dei 14 anni di cecità progressiva”. Una recita non certo meccanica o abitudinaria se agli altri suggeriva di recitarlo con grande devozione. Durante la forzata inattività, a causa di una malattia, san Cesare trascorre il tempo a “fabbricare rosari”. Ristabilitosi dalla malattia, ma non essendo ancora in grado di riprendere gli impegni a causa della persistente debolezza, persevera in quell’opera, andando lui stesso per i campi a raccogliere il tipo di legno adatto per intrecciare rosari. Scrive Marcel: «Il Beato ha potuto così introdurre la pratica del Rosario a Cavaillon, sua città natale, offrendo l’opportunità a molti ecclesiastici di portarlo alla cintura e a molti laici di averlo con sé». A tale scopo poi, non solo donava i rosari da lui confezionati, ma insegnava anche il modo di recitarlo. A chi si vantava di aver ricevuto la corona da lui fabbricata, con stile inconfondibile dell’umile discepolo di Cristo, suggeriva “di non vantarsi tanto di quel fatto, quanto piuttosto di recitarlo con devozione”. Negli ultimi giorni della sua vita, impossibilitato a parlare, chiese al padre Larme, suo infermiere, di recitare, per lui, giaculatorie mariane a voce alta. Durante il giorno lo si sentiva spesso pregare con l’invocazione “Santa Maria, madre della grazia” .
Anche il catechista trova in Maria, la Madre che sostiene la sua vita e la sua opera e che lo accompagna nel nobile scopo di portare gli altri al suo Figlio Gesù.
L’invocazione degli Angeli e dei Santi
San Cesare nutre anche una grande venerazione verso gli Angeli e i santi. Così egli disse a Caterina de la Croix, abbadessa del Monastero di Cavaillon: «Se tu sapessi la gioia che si prova nel pregare i santi, ne saresti stupita. Penso che un vero devoto dei santi sia anch’egli santo» . Egli voleva mettere ogni ora del giorno sotto la protezione di un santo e lo invocava con diverse giaculatorie.
L’essere catechista e annunciatore della Parola di Dio è visto da san Cesare come essere angelo di luce. La Dottrina Cristiana è la luce che illumina tutti gli uomini e dona loro gioia, serenità e speranza. Annunciando la Dottrina, i catechisti diventano messaggeri di questa luce che si diffonde sia con le parole che con la testimonianza della vita.
Così esprime il suo amore per gli Angeli e i Santi: «Dobbiamo onorare gli Angeli e pregarli, perché sono nostri intercessori, perché sono Messaggeri di Dio, così come il loro nome ci insegna. Dobbiamo onorarli perché Dio ce li ha dati per protettori e custodi. Essi non cessano di pregare per noi e di offrire a Dio le nostre preghiere, i nostri sacrifici, le nostre opere, come disse l’Angelo a Tobia (Tb 12,12). Bisogna onorarli e invocarli perché sono sempre alla presenza di Dio e ne sono Ministri, perché sono i nostri custodi che ci difendono con fortezza e con amore e pregano per quelli che l’invocano. Quello che ho detto fin qui degli Angeli, debbo dirlo anche dei Santi, che regnano con Dio nella patria celeste, perché anch’essi meritano di essere da noi onorati e invocati. Sappiamo infatti quanto grandi sono i loro meriti, quanto efficaci le loro preghiere e quanto grande è il loro credito presso Dio. Qualcuno dirà: è vero che i Santi pregavano mentre erano in vita, ma ora che sono nella gloria, riempiti dall’abbondanza della casa di Dio, non pensano più a noi. Rispondo che, come dice l’Ecclesiastico: l’amico ama il suo amico in ogni tempo (Pro 17,17) e, come dice l’Apostolo, quando un membro soffre, soffrono tutte le membra (1Cor 12,26). Ora i Santi non solo sono nostri amici, ma ancora nostri fratelli e membra di uno stesso corpo in Gesù Cristo e nella sua Chiesa. E se essi, essendo in vita, ebbero carità e compassione verso i membri ammalati, ne hanno più adesso nella patria beata in cui, benché spogliati di questo corpo mortale, non sono per questo spogliati dell’amore che ci portavano, perché l’anima uscita dal corpo in carità, persevera eternamente nella carità, che non viene mai meno (1Cor 13,8). A questo proposito dice san Bernardo che se i Santi, mentre erano in vita, ebbero compassione per i peccatori e pregarono per essi, molto più faranno adesso nella patria celeste, dove conoscono meglio le nostre miserie, perché la loro carità anziché diminuirsi, in cielo si è accresciuta. I Santi, dunque, in cielo avendo una maggiore carità e conoscendo meglio i nostri bisogni di spirito e di corpo, hanno una maggiore compassione di noi e, di conseguenza se si fa ricorso ad essi, pregano volentieri per noi» . Infine, nel testamento spirituale consiglia l’amicizia di un Santo: «Scegliete un santo fra tutti, imitatelo e leggetene spesso la vita. Pregatelo ogni giorno perché vi comunichi il suo spirito e la sua santità. Cercate di essere un suo devoto e di seguire coraggiosamente le sue sante orme perché come lui possiate avere il medesimo desiderio di andare in cielo» .
L’accompagnamento spirituale
Nel cammino della sequela Christi, san Cesare si è lasciato guidare da altre persone, manifestando loro i propri sentimenti, le proprie difficoltà e le proprie gioie.
Le prime due guide spirituali sono due laici: Antonietta Reveillade, donna semplice e analfabeta e Luigi Guyot, sacrestano della Cattedrale di Cavaillon.
Dopo il primo momento di ravvedimento, Cesare racconta al Larme: «Mi sentii sconvolto, come da una forza divina, che ripercorsi la strada in fretta e rientrai a casa dove narrai ogni cosa ad Antonietta. Essa riconoscendo l’opera dello Spirito Santo, rese grazie a Dio e, dopo avermi incoraggiato con parole di consolazione, mi ingiunse senza mezzi termini: “Signore mio deciditi”… Fu ancora lei che mi infuse coraggio… Mi suggerì, nel caso volessi donarmi al servizio di Dio, di rendere visita e di stringere amicizia con Luigi Guyot» .
Antonietta invia Cesare da Luigi con lo scopo di «imparare da lui i principi della vita spirituale. A lui – continua il santo – obbedii eseguendo i suoi ordini e permettendo che in ogni cosa prevalesse la sua opinione e la sua prudenza ». A sua volta, Luigi, lo indirizza al gesuita padr Pequet, con il quale padre Cesare fa gli esercizi spirituali. Il padre gesuita lo segue anche negli studi ripresi, decidendo di tenergli lui stesso lezione in questo modo: Cesare, terminata la meditazione del mattino annotava in francese i sentimenti, le ispirazioni e le luci interiori che Dio gli aveva comunicato; traduceva quindi dal francese al latino quanto aveva scritto e lo consegnava al suo confessore. Questi otteneva così due risultati: correggere gli eventuali errori della composizione e conoscere il progresso compiuto nella vita spirituale . Questo messaggio è attualissimo anche per noi: sentire la necessità di essere accompagnati nel nostro cammino spirituale e di avere una guida che ci aiuti a discernere i segni della presenza di Dio nella nostra vita.
La missione del catechista: l’esercizio della Dottrina Cristiana
«“Lampada per i miei passi è la Tua Parola, luce sul mio cammino” (Sal 118,105). Annunciamo questa Parola, insegniamo questa Dottrina, consacriamoci a questo esercizio e noi saremo Angeli di Luce! È vero che noi non lo saremmo che a metà se diffondessimo la luce con le nostre parole e, nello stesso tempo, le tenebre con gli atti. Tutto in noi deve catechizzare; il nostro stile di vita sia così conforme alle verità insegnate da essere un catechismo vivente». San Cesare
Catechismo vivente
Il catechista porta nel cuore il desiderio di voler trasmettere agli altri la gioia dell’incontro con il Signore. Quando sant’Ignazio di Loyola inviò san Francesco Saverio in oriente gli disse: «Va’, infiamma tutte le cose!». Questa è stata l’esperienza anche di san Cesare. L’intera opera catechistica del de Bus fa di lui un vero esempio di annunciatore della Parola di Dio e dei misteri della fede. Più volte afferma che la Dottrina Cristiana è la colonna e il fondamento che sostiene la Chiesa e al mezzo più veloce per camminare sul sentiero della salvezza. In un periodo di miseria materiale e spirituale il santo è convinto che il modo migliore per «arrestare i mali presenti e impedirne che ne nascano di peggiori», è l’insegnamento della Dottrina Cristiana. Nel discorso di fondazione si trova scritto: «Tutto in noi catechizzi, il nostro stile di vita sia così conforme alle verità insegnate da essere un catechismo vivente». Così egli si dedica totalmente alla sua Chiesa locale, amando tutta la gente che incontrava. Possiamo affermare che la sua esperienza della Misericordia di Dio, il suo nutrirsi della Parola di Dio e dell’Eucaristia, come la sua devozione alla Madonna trovano la concretizzazione nell’insegnamento della Dottrina Cristiana e «nell’esercizio della carità». Fare catechismo non viene da lui inteso come una lezione, ma come esercizio, praticamente come una testimonianza che coinvolge totalmente il maestro e il discepolo; l’esercizio è una formazione, un’educazione alla fede, tende cioè a far sì che il discepolo incontri, nella fede e nell’amore, Gesù Cristo.
Fedeltà a Dio e alle persone
L’insegnamento della Dottrina Cristiana deve rispondere a due dimensioni fondamentali e complementari: la fedeltà a Dio e la fedeltà alle persone. Per fedeltà a Dio si intende che la Parola non è proprietà della Chiesa e del catechista, ma dono del Signore che va dunque accolta con fede. Trasmettere la dottrina della fede significa dunque essere fedeli al deposito della rivelazione e non transigere in argomentazioni troppo personali e interpretazioni parziali che non corrispondono a quanto Dio ha voluto rivelare e a quanto il Magistero della Chiesa autorevolmente interpreta e consegna ai fedeli. Per fedeltà alle persone, san Cesare è convinto che occorre realizzare una catechesi specifica, differenziata nel metodo perché la Parola di Dio possa apparire veramente una risposta agli interrogativi di bambini, ragazzi, giovani e adulti, alle loro domande ed esigenze di verità e di vita. Essere catechisti non vuol dire solo trasmettere bene la Parola di Dio, ma soprattutto viverla e comunicarla nella testimonianza del proprio amore per Dio. Il catechista è il primo “catechismo vivente” attraverso cui ragazzi, giovani e adulti possono scoprire la verità del Vangelo e accoglierlo.
Il metodo
San Cesare organizza l’esercizio della Dottrina Cristiana in due cicli:
- la dottrina piccola: rivolta a chi non sapeva nulla, quindi soprattutto ai bambini e agli ignoranti, i quali imparavano le preghiere, il segno della Croce, i comandamenti e i sacramenti attraverso il dialogo e la memoria;
- la dottrina grande: pur mantenendo la concretezza del linguaggio, era fatta dal pulpito la domenica e nelle feste solenni e consiste in un’ampia e facilissima spiegazione del Simbolo degli Apostoli, del Padre Nostro, dei Comandamenti, dei Precetti della Chiesa e dei Sacramenti.
Senza dubbio si tratta di un programma classico di catechesi, così come lo prevedeva il Concilio di Trento nel suo catechismo. San de Bus, tuttavia, rende viva e attraente l’esposizione mediante il dialogo, la libera discussione o con delle sacre rappresentazioni.
La tradizione dottrinaria si è distinta, sulla linea di padre Cesare, per la ricerca di una catechesi viva e inventiva, immediata, fatta con parole semplici, poche le formule, plastiche e facili da ricordare. Afferma Marcel, primo biografo di padre Cesare che il suo modo di annunciare la Parola era semplicissimo e dunque alla portata di tutti. Evitava, quasi fossero scogli pericolosi, termini ricercati, così pure argomenti inutili e curiosi, benché gradevoli all’ascolto. La sua catechesi era ben strutturata, equilibrata, presentata con grazia e fervore in modo tale che non soltanto il popolo semplice, ma anche le persone istruite ne ricevevano soddisfazione e profitto. Il suo intento non è quello di rendere i suoi ascoltatori dotti, ma più credenti. Attorno a questo schema si va formando una predicazione intrisa di Sacra Scrittura, presentata in modo che le nozioni imparate si traducano in atteggiamento spirituale e in modo di agire. Queste indicazioni sono entrate nella tradizione dottrinaria, come ci dimostra il caput summum delle Costituzioni: «Nello svolgimento dei discorsi non siano proposte controversie, né sollevate questioni difficili o toccate novità dottrinali; invece siano frequenti i paragoni, gli esempi, scelti accuratamente; non vengano citati detti e fatti di scrittori pagani se non raramente e con somma prudenza, come pure le favole ed altre simili espressioni profane; non si facciano citazioni in greco o in ebraico, poche in latino e niente che non sia subito tradotto in lingua volgare e, se si tratta della Sacra Scrittura si aderisca al senso strettamente letterale. Non sia usato uno stile fiorito, raffinato e troppo ricercato, ma un linguaggio semplice e familiare, soprattutto pio e idoneo a suscitare la devozione. Al termine si faccia una ricapitolazione per argomento delle cose dette e in tutto si segua il metodo di insegnamento che il Fondatore ha affidato attraverso i suoi scritti ed il suo esempio e raccomandato con le sue parole». Lo studioso di storia della catechesi il salesiano Braido afferma che l’originaria esperienza catechistica di san Cesare e dei Dottrinari è affidata a una ricca raccolta di catechesi (ad uso del catechista), divise in 4/5 parti (secondo la prima e la terza edizione dei 1666 e 1685), riunite sotto il titolo Instructions familières. Si trovano in esse le seguenti caratteristiche di struttura e di stile:
adozione dell’ormai classica partizione (con successione mutata) della dottrina cristiana in Simbolo, Comandamenti, Orazione domenicale, vizi capitali, Sacramenti;
- divisione in «lezioni», o in argomenti secondo la loro inserzione logica: gli articoli di fede, i precetti di Dio e della Chiesa, le domande del Pater, i sette vizi capitali, i sette Sacramenti;
- divisione in «lezioni», o in argomenti secondo la loro inserzione logica: gli articoli di fede, i precetti di Dio e della Chiesa, le domande del Pater, i sette vizi capitali, i sette Sacramenti;
- ulteriore suddivisione delle singole «lezioni», in due, tre o quattro unità didattiche;
- arricchimento di «lezione» sistematica con una introduzione, un esempio pratico conclusivo e la ripetizione della materia appresa, intesa spesso anche come momento preliminare dell’incontro catechistico o lezione didattica successiva;
- uso estremamente elastico della tecnica delle domande e delle risposte, non predeterminate da un libretto della dottrina o da un interrogatorio e non confluenti alla memorizzazione, ma all’assimilazione consensuale e vitale;
- adozione di un linguaggio semplice e familiare, fervido e affettuoso, con il copioso richiamo di esempi e di sentenze scritturistiche e patristiche;
- fusione di «teoria», devozione e impegno pratico.
Le Instructions familières, afferma Braido, possono considerarsi una «teologia catechistica», intesa come teologia elementare e viva per catechisti e un manuale vissuto e stimolante di metodologia catechistica, intrisa di spiritualità e ricca di spunti pedagogici e didattici. In ltalia, ne sono rimasti per lungo tempo testimoni e portatori soprattutto i testi di O. Imberti (1650-1731), autore di una Dottrina cristiana, per i ragazzi, per i piccoli e per i «fanciulli più teneri» (Viterbo 1710), e di Giuseppe Domenico Boriglioni (1652-1735), che compose tre distinte opere: una Dottrina Cristiana grande per adulti e famiglie, un Compendio e un Compendiolo per li Figliuoli piccoli.
Conclusione
I catechisti sono chiamati a essere testimoni e partecipi di un mistero, che essi stessi vivono e che comunicano agli altri con amore. Essi stessi fanno esperienza di essere stati salvati, che hanno ricevuto da Dio la grazia della fede e si impegnano ad accoglierla e a comprenderla, in un atteggiamento di umile semplicità e di sempre nuova ricerca. Educatori dei fratelli nella fede, essi sono debitori del Vangelo che annunciano e si lasciano a loro volta educare dalla fede e dalla testimonianza di tutti. Una concreta coerenza di vita è necessaria ai catechisti per “vedere” la fede, prima di proclamarla. La testimonianza della vita è essenziale, nel momento in cui si vuol proclamare e diffondere la fede. Pertanto, l’insegnamento catechistico porta all’educazione cristiana di quanti li ascoltano, conducendoli a una coerente testimonianza di vita. La vocazione profetica richiede ai catechisti una solida spiritualità ecclesiale, una seria preparazione dottrinale e metodologica, una costante comunione con il magistero, una profonda carità verso Dio e verso il prossimo. Queste indicazioni sopra accennate, contenute nel documento Il rinnovamento della catechesi (nn. 1985-189), danno conferma della profonda attualità di quanto, oltre quattrocento anni fa, san Cesare ha attuato e realizzato. D’altra parte, i Santi ci indicano la strada per diventare felici, ci mostrano come si riesce a essere persone veramente umane. Nelle vicende della storia sono stati essi i veri riformatori che tante volte l’hanno risollevata dalle valli oscure nelle quali è sempre nuovamente in pericolo di sprofondare; essi l’hanno sempre nuovamente illuminata. L’auspicio è che i catechisti possano trovare in san Cesare un punto di riferimento nel loro cammino di sequela di Gesù e di annunciatori del Vangelo.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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