San Cesare De Bus
Padre Sergio La Pegna, dc, Superiore Generale
Carissimi confratelli, membri del Movimento Familiare Dottrinario, della Fraternità Dottrinaria della Parola, Laici Dottrinari e amici tutti, come è ormai tradizione, ci ritroviamo a vivere insieme la solennità del nostro Fondatore, san Cesare de Bus. Quest’anno il 15 aprile cade di martedì santo, durante la settimana più importante dell’anno liturgico. Le norme della Chiesa dicono che, in questi casi, la solennità liturgica viene trasferita al lunedì dopo l’ottava di Pasqua, quindi il 28 aprile.
In questo Anno Santo, preparandoci a vivere la “doppia Pasqua” di san Cesare, mi piace ricordare i 450 anni dalla cosiddetta sua “conversione”, avvenuta proprio durante l’Anno Santo del 1575.
Conosciamo tutti la storia. L’accenno brevemente: nel 1575, mentre Cesare si trova ad Avignone dove era andato per il Giubileo, una sera si lascia distrarre dalle sue pratiche religiose cedendo alle pressioni di alcuni amici per andare a una festa da ballo. Verso mezzanotte, di ritorno verso casa, davanti al monastero di Santa Chiara, sente le monache cantare i salmi. Si ferma ed esclama: “Queste giovani vergini vegliano per lodare Dio, tu invece corri per gravemente offenderlo”. A tali parole, prova un dispiacere così vivo, che subito si inginocchia davanti alla porta della chiesa del monastero e, a mani giunte, implora perdono a Dio per i suoi trascorsi. Fa quindi il proposito di consacrarsi definitivamente al Signore.
Questo è il senso profondo del cambiamento radicale: il desiderio di autenticità nel vivere la fede. Cesare sente la pressante necessità di accordare la sua vita alla sua fede e di passare – come afferma Newman – dal “consenso nozionale” obbligatorio unicamente per la ragione, al “consenso reale” che impegna la vita tutt’intera’ (Cf. J. De Viguerie, Une ouvre d’éducation, pp. 11-14). Questa preoccupazione di rettitudine a se stesso e a Dio segna profondamente la spiritualità e la missione del Fondatore. Infatti, nel suo discorso di fondazione della Congregazione, conferma l’importanza dell’essere autentici: “Annunciamo questa Parola, insegniamo questa Dottrina, consacriamoci a questo esercizio e noi saremo Angeli di Luce! È vero che noi non lo saremmo che a metà se diffondessimo la luce con le nostre parole e, nello stesso tempo, le tenebre con gli atti. Tutto in noi deve catechizzare; il nostro stile di vita sia così conforme alle verità insegnate da essere un catechismo vivente”. Questo stesso pensiero lo ritroviamo nel celebre passo dell’Evangelii Nuntiandi in cui san Paolo VI afferma: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (EN 41).
L’autenticità vale per chi annuncia ma anche per chi accoglie il messaggio evangelico. Infatti, come sappiamo, per padre Cesare, la catechesi, o come la chiamava lui la “dottrina”, diventa “scuola di vita”: “Si va alla Dottrina e alle predicazioni, per imparare a vivere cristianamente” (C. de Bus, Istruzioni Familiari, vol. III, 13,1).
Infatti, per lui, le verità di fede devono essere conosciute, comprese, assimilate e tradotte a livello esistenziale, comportamentale. San Cesare non si accontenta che la dottrina sia conosciuta e compresa; vuole che sia assimilata e giunga a incidere nella vita. Con l’attuale linguaggio diremmo che la sua catechesi mira a suscitare un vero e maturo atteggiamento di fede, cioè ben sviluppato nelle sue tre componenti fondamentali: la cognitiva (l’intelligenza, la testa), l’emotiva (l’emotività, il cuore) e la comportamentale (la volontà, le mani) (Cf. G. Biancardi, L’attualità – Le intuizioni di san Cesare de Bus: validità per l’oggi e semi di futuro, in Il carisma e la passione per la catechesi di san Cesare de Bus. Le Istruzioni familiari tra memoria e attualità prospettica, Supplemento al Numero 1 (2024), pp. 24-38).
Carissimi, in questo Anno Santo anche noi siamo chiamati a vivere “un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, porta di salvezza (cf. Spes non confundit n. 1). Anche noi, come san Cesare, possiamo riscoprire la bellezza del vivere nella quotidianità la nostra fede. Il nostro stile di vita sia un annuncio della bellezza e veridicità del Vangelo. Infatti, nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà (cf. Spes non confundit n. 1). Davanti alle inquietudini e preoccupazioni che la vita ci presenta sia come persone sia come comunità o famiglia (la salute, il futuro dei giovani e della Congregazione, la fragilità nella fedeltà ai propri impegni di vita, le vocazioni…) siamo invitati ancora una volta a mettere tutto nelle mani di Dio e a fidarci di Lui che conduce la storia fino al fondamento irrinunciabile della speranza, racchiuso nel battesimo: l’ingresso nella vita che non ha fine.
E il Papa menziona un dettaglio artistico eloquente che mostra in maniera anche visibile il suo legame con la vita eterna: per lungo tempo ad esempio i cristiani hanno costruito la vasca battesimale a forma ottagonale e ancora oggi possiamo ammirare molti battisteri antichi che conservano tale forma, come a Roma presso San Giovanni in Laterano. Essa indica che nel fonte battesimale viene inaugurato l’ottavo giorno, cioè quello della risurrezione, il giorno che va oltre il ritmo abituale, segnato dalla scadenza settimanale, aprendo così il ciclo del tempo alla dimensione dell’eternità, alla vita che dura per sempre: questo è il traguardo a cui tendiamo nel nostro pellegrinaggio terreno (cfr. Rm 6,22 – Spes non confundit n. 20). E il traguardo dove può finalmente tornare a compimento quel desiderio di pienezza presente in ogni uomo e donna che hanno amato (Cf. G. Cucci, S.I., «L’anno giubilare: un invito alla speranza», in La Civiltà Cattolica 4188 (21 dic 2024/4 gen 2025) 525-529).
Questa è stato l’anelito di san Cesare fino all’ultimo suo respiro. Questo è il cammino di autenticità cristiana che siamo chiamati a vivere tutti. Buona festa di San Cesare.
Roma, 15 aprile 2025, 418° anniversario della morte di san Cesare